Nel mondo della cybersecurity, gli incidenti non sono solo probabili: sono inevitabili. Errori umani, falle nei processi, vulnerabilità tecniche… prima o poi qualcosa va storto. Ma ciò che distingue un’organizzazione resiliente da una vulnerabile è il modo in cui reagisce.
Punire chi sbaglia non aiuta a prevenire il prossimo errore. Serve un cambio di paradigma. Serve la Just Culture.
La Just Culture nasce in contesti ad alto rischio come l’aviazione e la sanità. L’idea di fondo è semplice: incoraggiare le persone a segnalare problemi senza il timore di punizioni automatiche.
È una cultura della responsabilità, che distingue tra errore onesto e comportamento irresponsabile senza per forza cercare capri espiatori.
L’obiettivo? Favorire trasparenza, apprendimento e prevenzione. Invece di chiedersi “chi ha sbagliato?”, si parte da “cosa è andato storto?” per rafforzare il sistema.
Nel contesto della cybersecurity, questo approccio è ancora poco diffuso. Eppure, è essenziale per costruire un’organizzazione capace di imparare dagli incidenti, ridurre l’errore umano e affrontare minacce in modo proattivo.
Venerdì sera. Marco, sysadmin, riceve dal SOC un alert critico su una vulnerabilità. Decide di aspettare lunedì. Nella notte, un attacco compromette l’intera DMZ. Il giorno dopo, Marco viene accusato di negligenza.
Ma è davvero tutta colpa sua?
Un’analisi più profonda rivela cause sistemiche:
- Nessuna procedura di escalation definita
- Comunicazione scarsa tra SOC e IT
- Cultura della sicurezza debole
- Marco era solo e sovraccarico
- Assenza di una procedura d’emergenza chiara
Marco ha sbagliato, sì. Ma non era nelle condizioni per scegliere correttamente. L’errore è stato solo l’effetto visibile di problemi più ampi.
La Just Culture insegna che l’errore umano non è mai solo personale, ma nasce da condizioni di errore latenti nascoste in procedure, tecnologie e culture aziendali. Incolpare qualcuno senza analizzare il contesto significa perdere l’occasione di imparare e migliorare.
Ecco cosa cambia adottando questo approccio:
1. Più fiducia, più segnalazioni
In un ambiente dove segnalare un errore non porta a sanzioni automatiche, le persone si sentono sicure nel riportare vulnerabilità e quasi-incidenti. Questo fornisce dati preziosi per prevenire problemi futuri.
2. Analisi sistemica, non colpe individuali
Con la Just Culture, si cercano cause profonde: carenze nei processi, nelle tecnologie, nella comunicazione o nelle risorse. Questo è l’unico modo per ridurre la probabilità che l’errore si ripeta.
3. Apprendimento continuo
Ogni incidente è un’occasione per migliorare. Con un approccio costruttivo si aggiornano le procedure, si rafforza la formazione e si potenzia l’organizzazione nel suo complesso.
4. La sicurezza è responsabilità condivisa
La cybersecurity non è solo compito dell’IT o del SOC. Tutti – sviluppatori, manager, HR – devono essere coinvolti. La sicurezza è frutto di una responsabilità condivisa.
5. Meno margine per l’errore umano
Automatizzare processi critici, creare check-list, semplificare strumenti: tutto ciò riduce il peso delle decisioni individuali e previene errori prima che accadano.
Deda Tech ha trasformato la Just Culture in un servizio concreto: Red Button, un modello di intervento e coordinamento che va oltre la risposta tecnica.
Red Button non si limita a risolvere un attacco: analizza, apprende e aiuta l’organizzazione a evolvere.
Non cerca colpevoli, ma soluzioni. Non spegne incendi: costruisce prevenzione.
Serve un cambiamento profondo: la cybersecurity non è solo tecnica, è anche cultura.
Solo costruendo fiducia, responsabilità condivisa e capacità di apprendimento continuo è possibile affrontare minacce complesse e imprevedibili.
Deda Tech promuove un modello in cui collaborazione, trasparenza e resilienza diventano gli strumenti chiave per il futuro della sicurezza informatica.